Una solitudine troppo rumorosa #7 – Piccolo, Momenti di trascurabile (in)felicità

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Ci sono narrazioni costruite senza una struttura coerente di sinossi. Trame poco sistematiche – talvolta per nulla; storie sorrette unicamente da immagini brucianti che paiono aforistiche. Libri in cui non c’è una storia, ma un naufrago vagolare del protagonista per gli anfratti dello stare al mondo. Un personaggio unico – io narrante, spesso – che esplora le geografie dei comportamenti (suoi e altrui) e ne segnala unicamente l’accadersi. Fenomenologo, non fa valutazioni, non trae grandi verità morali o esistenziali. Si limita ad elencare una accadere del vivere umano, e va da sé che spesso, molto spesso, queste storie ci dicono molto di più di storie perfettamente confezionate ma plasticose e sempre identiche a se stesse. Ci dicono di più di cosa? Di noi, di come ci comportiamo in quanto esseri umani.

Fu grande (il più grande, secondo me) Celine nel Voyage, che si ispirò al Nobel norvegese Hamsun (Fame) e che a sua volta ispirò l’Holden di Salinger. Vagare per una città – chissà che siano solo le città il caleidoscopio dell’uomo, a ricordare Calvino – e descriverne un’anima che non è altro che una coscienza collettiva, di tutti. Tutte le morbosità che si leggono sono anche le nostre. Ci appartengono nel privato e le nascondiamo sotto i tappeti di un buoncostume, ma ci siamo anche noi dentro quei libri; nostri microscopici autoritratti.

Francesco Piccolo ha scritto un libro (sono due, ma ci arriviamo) in cui ho letto la stessa liquida verità dei grandi di cui sopra. Celine, Hamsun, Salinger e tutti gli altri ne hanno fatto dei romanzi importanti; l’aggettivo giusto sarebbe coscienti. Piccolo fa un altro lavoro. Meno impegnato, meno epico. Elenca situazioni quotidiane trascurabili, felici e infelici. Cose che sono capitate a lui, ma certo a tutti noi. Piccoli momenti di una (in)felicità transitoria e subitanea. Attenzione: c’è la stessa verità dell’esperienza umana di cui scrivono i grandi. La forza della soggettività, della coscienza; ma c’è leggerezza – totale, umoristica e incondizionata – laddovè nei grandi c’era la pesantezza necessaria a fare grande il romanzo. (I grandi romanzi non sono mai leggeri).

L’elemento della trascurabilità manifestata sin dal titolo fa di questo libro (che sono due) l’elenco di situazioni vissute e perse nello specchio di ogni giorno. Quel non prestare attenzione al confine del mondo, dove vivono esperienze che ci devono essere ma di cui finiamo per non accorgercene. Paradossalmente ce ne accorgeremmo solo se queste verrebbero a mancare.

I libri sono due, e lo si è capito. Cioè: se volete comprarli, leggerli, parlarne eccetera dovete sapere che sono due libri differenti, che il libreria sono molto vicini (se sono contigui è più bello) e hanno codici ISBN diversi. Io, però, rimango dell’idea che che siano un libro solo diviso in due volumi. Il primo (Momenti di trascurabile felicità) è del 2013; il secondo (Momenti di trascurabile infelicità) è del 2015. Andrebbero letti insieme, qualcosa di felice e qualcosa di infelice, a turno. Ma il confine, se c’è, è sfumato. Infatti delle cose scritte nella felicità finiscono per mettere un velo di tristezza; viceversa alcune cose che sono tre le infelici mettono in bocca una risata.

Non si parla di grande letteratura. Piccolo la sa fare, e con quella vince i premi (Il desiderio di essere come tutti, 2014). Questo è un mestiere diverso, cucito nella leggerezza (calviniana, direi, ma Piccolo non sopporta chi al termine “leggerezza” fa seguire “calviniana”, quindi evito.) I Momenti è un libro che non chiede niente. Non chiede attenzione, continuità, interpretazione. Va letto e basta. Spizzicato nelle librerie, assaggiato, divorato. Non ha pretese verso il lettore, e non è certo una pecca.

Vi siete mai sentiti tristi, per un attimo, un secondo, forse anche meno, per aver visto a bordo strada una prostituta, di giorno? Oppure quella strana euforia dell’evaporare della bruttezza di una persona solo perchè la si è conosciuta. Ancora: il disagio brevilineo di non sapere se la luce del frigo si spenga veramente quando si chiude lo sportello o la bellezza della prima e dell’ultima pagina di un libro.

Piccolo collage di piccole immagini, contorno ai racconti brevi che ne fanno corpo. Tutto è storia di minuscola felicità e infelicità. La brevità concorre con le storie (vere, presunte, inventate; che importa) a costruire l’immagine più grande, da vedere da lontano, dei gesti dell’umanità che conosciamo bene e a cui partecipiamo.

Piccolissimi (in)felici momenti umani.
Trascurabili.
Ma non troppo.

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