
di Nicolò Cesa
Alla fine Ignazio Marino ha rassegnato le dimissioni. Non c’era altra strada. Il sindaco in bicicletta ha ceduto – dopo due anni e mezzo di attacchi da destra, da sinistra, dal centro, da sopra ma soprattutto da sotto – ai gattopardiani, ai conservatori del potere radicato ed intoccabile, ai logisti di partito, ai gregari della carriera, ai disonesti per professione e ai militanti dell’ideologia dell’obbedienza. Marino non poteva fargli un regalo migliore.
Eppure io credo che il nemico principale dell’esperienza del sindaco-primario vada inquadrata nel personaggio stesso e in quella schizofrenica cultura politica che, da qualche anno a questa parte, occupa lo spazio pubblico.
Partiamo dal presupposto (irrilevante per quanto riguarda la mia analisi, ma fondamentale per inquadrare la questione) che Marino sia davvero un onesto; che abbia fatto di tutto per scardinare il sistema dei buzzi e dei carminati (le minuscole sono volute); che abbia fondato, quindi, il proprio agire istituzionale e politico sulla premessa per cui, dal giorno dell’elezione in poi, Roma sarebbe stata governata da un sindaco davvero intoccabile dal punto di vista morale. Ora, questa esperienza, ci insegna una cosa piuttosto semplice, che nel corso della storia ciclicamente – come sempre accade – ritorna più attuale che mai. Ovvero: che rapporto ci può essere tra la morale e la politica? Può un politico permettersi il lusso di tenere le mani pulite? Che vuol dire avere le mani pulite? Da quale momento in poi, quelle mani, possono definirsi sporche? Marino è stato, quindi, un sindaco onesto o disonesto? Dove si collocano i limiti ed i confini di un agire politico moralmente ineccepibile ed un agire politico definibile come disonesto? Continua a leggere “E ora che cosa ce ne facciamo dell’onestà?”
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