Steve McCurry – Tecnica e geometria di un fotografo (5/6)

L’articolo che segue è la quinta parte della storia del fotografo americano Steve McCurry. La prima parte si può leggere qui. La seconda parte la trovate qua. La terza parte è qui. La quarta parte è qui e infine la sesta parte, ultima.

Ho cominciato questa lunghissima trattazione di McCurry seguendo una specie di evoluzione storica della sua fotografia. Nei quattro articoli precedenti ho alternato due storie personali di McCurry, entrambe legate all’India, e due momenti storici importanti per aver proiettato McCurry verso il tipo di fotografo che oggi conosciamo e che abbiamo in mente. A questo, possiamo dire l’aspetto più storico-interpretativo della fotografia di McCurry, se ne deve affiancare necessariamente uno di natura tecnica. McCurry è anche un fotografo molto tecnico, ed è la combinazione della qualità della fotografia unita al soggetto fotografato (che può anche essere un posto, non necessariamente una persona) a rendere le sue foto una riferimento della fotografia contemporanea.
Non ho una grande competenza sulla tecnica fotografica, quindi mi appello soprattutto a quel che ho letto su McCurry da chi, molto meglio di me, ne ha analizzato gli aspetti tecnici.

Sono essenzialmente tre gli aspetti riconoscibili, a livello tecnico, delle fotografie di McCurry. Continua a leggere “Steve McCurry – Tecnica e geometria di un fotografo (5/6)”

Steve McCurry – Afghanistan ’79 e le storie che devono essere raccontate (1/6)

Il pezzo che segue è il primo di una serie di sei articoli che verranno pubblicati sul fotografo americano Steve McCurry. Seguono la seconda parteterza partequarta partequinta partesesta parte.

La prima foto è un affidarsi.
Si vedono tante persone di etnia Pashtun con il capo chino. Davanti a loro, a terra, una stuoia ricoperta di vecchi fucili sovietici. Al centro se ne riconosce uno tenuto insieme a fortuna, sperando che faccia il suo dovere quando la storia chiama e una battaglia, o l’atto di una resistenza, deve fare il suo corso. Ci sono più uomini che fucili. La foto è tagliata, il quadro è limitato. Ma è una realtà. Le armi non ci sono, non ancora; non una per ogni combattente. Ma arriveranno, ci sarà un alleato forte. Il più forte di tutti, che farà arrivare missili contraerei dal Pakistan, a dorso di mulo.
Le persone nella foto sono mujaheddin. I combattenti della jihad, della guerra santa islamica. Ma è tradizione di una vecchia stampa che dava poco conto alla terminologia specifica. Oggi dire mujaheddin è un cosa che inquadra un combattente verso un sistema di fondamentalismo che invece, dentro quella foto, è molto più sfumato verso l’appartenenza ad uno specifico territorio.
Dal 1973 l’Afghanistan è una repubblica. Traballante; sono gli anni settanta del comunismo mondiale. Infatti traballa un po’ troppo, zoppica, e poi quando cade sarà guerra. Invadono i russi, ancora. I comunisti d’Europa sono chiamati all’ennesimo atto di fede cieca verso un imperialismo rosso. Dopo la Polonia. Dopo l’Ungheria. Dopo la Cecoslovacchia.
I russi arrivano per combattere i mujaheddin, che quel governo repubblicano fantoccio russo non lo vogliono. Arriveranno anche gli Stati Uniti, ma dall’altra parte. Finanzieranno proprio coloro cui faranno una guerra all’inizio del millennio successivo, cosa che a guardarla oggi suona addirittura ossimorica. Nel frattempo, da una parte URSS, dall’altra USA. Una guerra tra loro, ma con pedine estranee, come fu la Corea nel ’50 e come fu poi il primo Vietnam. Continua a leggere “Steve McCurry – Afghanistan ’79 e le storie che devono essere raccontate (1/6)”