Steve McCurry – Le vite degli altri (6/6)

Questo è l’ultimo articolo della serie. Ne sono usciti altri cinque, che trovate nei link a seguito: AFGHANISTAN ’79 E LE STORIE CHE DEVONO ESSERE RACCONTATE (1/6); COMPROMETTERSI PER DIVENTARE PARTE DELLA STORIA (2/6); FIABE DALL’INDIA (3/6); DISTRUZIONE (4/6); TECNICA E GEOMETRIA DI UN FOTOGRAFO (5/6).

L’ultima fotografia è la ragazza afghana. Un’icona planetaria; una foto che tutto il mondo ha visto e interiorizzato. Occhi verdi, un velo rosso. La seduta leggermente fuori asse rispetto alla macchina fotografica, gli occhi puntati. Continua a leggere “Steve McCurry – Le vite degli altri (6/6)”

Steve McCurry – Tecnica e geometria di un fotografo (5/6)

L’articolo che segue è la quinta parte della storia del fotografo americano Steve McCurry. La prima parte si può leggere qui. La seconda parte la trovate qua. La terza parte è qui. La quarta parte è qui e infine la sesta parte, ultima.

Ho cominciato questa lunghissima trattazione di McCurry seguendo una specie di evoluzione storica della sua fotografia. Nei quattro articoli precedenti ho alternato due storie personali di McCurry, entrambe legate all’India, e due momenti storici importanti per aver proiettato McCurry verso il tipo di fotografo che oggi conosciamo e che abbiamo in mente. A questo, possiamo dire l’aspetto più storico-interpretativo della fotografia di McCurry, se ne deve affiancare necessariamente uno di natura tecnica. McCurry è anche un fotografo molto tecnico, ed è la combinazione della qualità della fotografia unita al soggetto fotografato (che può anche essere un posto, non necessariamente una persona) a rendere le sue foto una riferimento della fotografia contemporanea.
Non ho una grande competenza sulla tecnica fotografica, quindi mi appello soprattutto a quel che ho letto su McCurry da chi, molto meglio di me, ne ha analizzato gli aspetti tecnici.

Sono essenzialmente tre gli aspetti riconoscibili, a livello tecnico, delle fotografie di McCurry. Continua a leggere “Steve McCurry – Tecnica e geometria di un fotografo (5/6)”

Steve McCurry – Distruzione (4/6)

L’articolo che segue è la quarta parte della storia del fotografo americano Steve McCurry. La prima parte la trovate quaLa seconda qua. La terza parte è qui. Seguono la quinta partesesta parte.

La quarta foto è distruzione.

Macerie, nel cuore del mondo. Il fumo, la polvere. Rovine di un posto, resti di un simbolo. Nelle coscienze di tutti una spaccatura, una crepa di paura da cui poi, come edera, monterà la fobia di un’insensatezza chiamata fondamentalismo, perchè da quella crepa usciranno anche (tra gli altri) Madrid 2004 (191 morti), la metropolitana di Londra 2005 (56 morti), Boko Haram in Nigeria, l’attentato a Charlie Hebdo di Parigi, due guerre (Afghanistan e Iraq), l’ISIS.
“Siamo tutti americani”, scriverà sulla prima pagina del Corriere del 12 settembre Ferruccio De Bortoli, il direttore, parafrasando Kennedy di fronte al muro con i berlinesi. Una bella frase, che non trova però terreno fertile. Mai come prima il mondo si spacca in due, perchè in quella crepa viene incubata la rabbia e l’orgoglio o la stupidità delle più svariate dietrologie complottiste sull’autolesionismo americano orchestrato da CIA, FBI, ebrei, massoni, Bilderberg, Trilaterale…

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Steve McCurry – Fiabe dall’india (3/6)

L’articolo che segue è la terza parte della storia del fotografo americano Steve McCurry. La seconda parte la trovate qua, la prima qui. Ci sono poi la quarta parte, la quinta parte e la sesta parte.

La terza foto è la fiaba raccontata, di un posto lontano.
Un treno nero e tanto fumo. Due uomini, al centro della foto, abbarbicati sul muso della locomotiva.
Alle spalle, in secondo piano e abbastanza sfocato da poter essere un sogno, il Taj Mahal. Siamo ad Agra, in India, ed è il 1983.

Workers move a steam locomotive at the railway yard in Agra, near Taj Mahal, Pradesh, India, 1983

Nel 1978 McCurry lascia il giornale di Philadelphia per il quale lavora come fotografo per partire verso l’India, ed è una storia già raccontata. Aveva viaggiato in Africa e in Sud America. Un anno l’aveva passato a rincorrere le donne d’Europa, cercando di consumare quel poco che era rimasto del fascino liberatore dell’americano nel vecchio continente. Mancava quella parte di mondo, e c’era da rispondere ad una chiamata, quasi fosse una forma di rivelazione.

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