“Dio creò l’uomo perché gli piacciono le storie” da Le porte della foresta, Elie Wiesel
Comincia con questo articolo una nuova rubrica del nostro blog che raccoglie storie che devono essere raccontate. Vogliamo parlare di storie vere: vissute, ascoltate, lette o caduteci nelle mani all’improvviso. Vogliamo parlare di storie, piccole tendenzialmente, ma stra-ordinarie, che lasciano il segno. Vogliamo innanzitutto raccontarvele.
La prima. Una ragazza parte da sola per la Cina e ci resta per cinque anni, per lavoro. Poi torna in Italia e mette su famiglia. Fin qui niente di strano, se non fosse che stiamo parlando del 1890.
Giuseppina Croci nasce nella periferia di Milano nel 1863 in una famiglia formata da una miriade di fratelli e un padre vedovo, fabbricante di spazzole. Fin da giovanissima lavora, come tutte le sue coetanee, in una filanda della zona, come tante del nord d’Italia. Frequenta la scuola elementare fino alla terza classe, fino a quando suo padre può permetterselo, però ripete l’ultimo anno più volte, per imparare meglio a leggere e a scrivere. Nel 1890 ha ventisette anni e parte per la Cina. Un suo ex principale le propone di trasferirsi a Shanghai come assistente di filanda. Si tratta di una filiale cinese di un importante gruppo britannico, Jardine Matheson & Co, fondato nel 1832 a Canton e poi ricollocato a Hong Kong. Giuseppina lavora alla EWO, una delle più antiche filande di Shanghai, nell’International Settlement della città, la zona dove si concentra gente da tutto il mondo, lingue da tutto il mondo. Qui il suo dovere è trasmettere le proprie conoscenze ai dipendenti stranieri, e apprenderne da loro di nuove. Fa parte di uno staff tutto italiano, perlopiù lombardo e al femminile.
Parte Giuseppina, da sola da Genova via mare. Trentasette lunghi giorni di navigazione su un bastimento a vela tedesco. Da Genova attraverso il Mediterraneo nel Canale di Suez, fino a raggiungere Aden, oggi nello Yemen, e poi Colombo in Sri Lanka, Singapore e Hong Kong, facendo tappa nei principali possedimenti inglesi. Un percorso difficile ma altrettanto entusiasmante come conferma il suo diario di viaggio, un piccolo manoscritto a calligrafia minuta che registra tutto quello che gli occhi di Giuseppina hanno visto. Una ragazza catapultata da sola dalla periferia milanese degli agricoltori fino alla più grande città della Cina ne vede di cose che possono cambiarle la vita.
E allora scrive. In quel momento di quasi totale isolamento, su una nave carica di persone di varia provenienza, senza una lingua con cui poter comunicare, senza forse rendersi del tutto conto della nuova avventura che stava per intraprendere, scrive. Il diario, che è stato pubblicato dalla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale dopo la selezione come finalista al Premio Pieve del 2003 e riedito nel 2014 in una versione bilingue italo-cinese da Forum Edizioni con il patrocinio del Comune di Milano e dell’Istituto Italiano di Cultura di Shanghai, racconta del viaggio, dei passeggeri, dei luoghi, delle sensazioni. Giuseppina racconta come se stesse parlando direttamente con i suoi famigliari e gli amici lontani, a volte lasciando emergere lo sconforto per le difficoltà fisiche ed emotive da affrontare, a volte compiacendosi della straordinarietà di quello che vede e che non può del tutto rendere a parole a chi nemmeno se lo immagina: “Io vi dico la verità, che se dovessi descrivere tutto ciò che ebbi veduto non sarei capace” (pag 26).
Giuseppina raccoglie tutto. Della vita sul bastimento, dove nessuno parla con nessuno, perché le lingue sono diverse e non ci si capisce se non a gesti, dei paesaggi che vede lungo il percorso e soprattutto della gente, così straniera e variegata da farla emozionare. Delle sfumature dei colori della pelle: “nera come il velluto“, “nero come il diavolo“, “pelle come il caffè chiaro“. Parla delle differenti condizioni di vita delle popolazioni che incontra da lontano, con il suo italiano popolare e sgrammaticato: “vi dirò soltanto che gli arabi della Bissinia sono molto brutti, ma buoni, hanno gran paura de gli Europei; di più qui gli uomini hanno 2.3.4 donne e poi quando non gli piacciono più, fanno il contratto con altri e gli vendono” (pag. 26). Paragona ciò che vede a quello che gli è più famigliare, per meglio comprenderlo, e così il canale di Suez diventa il canale Villoresi, nei pressi di Milano, la città di Colombo una delle più belle città d’Italia e Singapore sembra quasi Castano Primo (Mi). Raffigura nei dettagli gli episodi vissuti nei momenti di sosta della nave: gli uomini scalzi e nudi, le carrozzette al posto dei tram, i franchi d’argento con Vittorio Emanuele che vengono considerati falsi, l’uomo con le medaglie “missionario del diavolo“, i soldati tedeschi, gli uomini con la “treccia di capelli che scendano fino ai piedi” di Singapore, i giardini e i porti. E le donne? “Non posso descrivere la forma della donna perché non ne ho vedute; ho chiesto il perché non si vedono donne; e mi fù risposto che di questi luoghi le donne non sortono di frequente, solo per il puro bisogno” (pag. 34).
Poi finalmente il bastimento arriva a Hong Kong e da lì riparte per Shanghai con il mare calmo e la “melanconia” sollevata. L’arrivo a Shanghai è burrascoso.Giuseppina perde una sorta di coincidenza e deve prendere a noleggio una carrozzetta, ma non parla né inglese né francese e cerca di farsi capire come può: “La mia penna non può descrivere i molti pensieri che ballenò nella mia mente. Dio! Una regazza che non comprende uno zero di ciò che dicevano. Una regazza d’ora tardi in mezzo ad una via, pien zeppa solo di Chinesi, in terre così straniere! (…) guardavo e vedevo un via vai di gente che assomigliava ha quelli del mondo nuovo. Udivo parlare, ridere, schiamazzare, ma comprendevo uno zero.” (pag. 38). Alla fine raggiunge la filanda, stanca e senza poter fare altro che lasciarsi trascinare dalla gente del posto, pensando alla sicurezza lasciata a casa per questa nuova vita che chissàcomesarebbeandata. Ma del resto, come lei stessa conclude, “la vita dell’uomo in questo mondo è piena di triboli e di spine, però ogni spina ha il suo fiore” (pag. 41).
Giuseppina è tornata a casa nel 1895. Con i soldi guadagnati con le proprie mani si è pagata il matrimonio con un carabiniere e una casa con tanto di domestica nella campagna del suo paese. Parlava quasi quattro lingue, quando è tornata. L’italiano, l’inglese, il francese e il cinese di Shanghai. Le mescolava con il dialetto e con gli aneddoti sul suo viaggio. Era tornata cambiata, si sentiva diversa dai suoi concittadini, più ricca di cose da raccontare, la chiamavano “la Chinesa”. Dopo di lei sono venute altre donne. Una figlia, Carlotta, maestra elementare, che si è presa la briga di correggere in rosso tutti gli errori di scrittura nel diario della madre. E poi una nipote, Pierabruna, che mantiene vivo il ricordo e il sangue di questa viaggiatrice dalla storia pazzesca.
Da dove salta fuori: trovata per caso spulciando il catalogo dell’Archivio Diaristico Nazionale si è poi arricchita a poco a poco con le testimonianze dirette di chi ne ha conosciuto la protagonista per davvero
Dove approfondire: nel piccolo diario di viaggio “Sul bastimento per Shanghai” edito da Forum Edizioni, disponibile tramite l’Archivio di Pieve Santo Stefano, oppure chiedete a noi!