Una solitudine troppo rumorosa #7 – Piccolo, Momenti di trascurabile (in)felicità

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Ci sono narrazioni costruite senza una struttura coerente di sinossi. Trame poco sistematiche – talvolta per nulla; storie sorrette unicamente da immagini brucianti che paiono aforistiche. Libri in cui non c’è una storia, ma un naufrago vagolare del protagonista per gli anfratti dello stare al mondo. Un personaggio unico – io narrante, spesso – che esplora le geografie dei comportamenti (suoi e altrui) e ne segnala unicamente l’accadersi. Fenomenologo, non fa valutazioni, non trae grandi verità morali o esistenziali. Si limita ad elencare una accadere del vivere umano, e va da sé che spesso, molto spesso, queste storie ci dicono molto di più di storie perfettamente confezionate ma plasticose e sempre identiche a se stesse. Ci dicono di più di cosa? Di noi, di come ci comportiamo in quanto esseri umani. Continua a leggere “Una solitudine troppo rumorosa #7 – Piccolo, Momenti di trascurabile (in)felicità”

NOVANTA – A ritmo di Soul, i Calypso Boys

Oltremanica, volgendosi dal piccolo borgo di Coquelles verso Nord, si racconta una storia.
Due fratelli, Andy e Dwight, nati a diciannove giorni di distanza e in due continenti diversi – loro non hanno in comune nè genitori nè sangue nè patrimonio genetico, ma l’anima – si ritrovano finalmente dopo anni per fare ciò che mai nessun’uomo, da solo, è riuscito a fare.
Si tratterebbe di materiale fantastico per una canzone o una poesia, però a Manchester, dove la storia è ambientata, non c’è spazio per nessuna di queste due: non siamo a Liverpool, non ci sono i Beatles; la città è un ex-accampamento romano di quelli tralasciati dall’epica, in cui il calpestio dei calzari dei soldati non è mai stato messo in versi.
E infatti questa è una storia vera.

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Una solitudine troppo rumorosa #6 – L’Oriana e Tiziano

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Quello che è successo venerdì a Parigi mi ha obbligato a rivedere delle scelte. Avevo deciso di parlare di un libro di Francesco Piccolo (di cui parlerò la prossima settimana) ma poi, essendo convinto che qualunque funzione pubblica venga esercitata (come scrivere su questo blog, a prescindere dal numero di lettori) debba essere centrata rispetto all’attualità, ho pensato di fare una scelta diversa. Fatti di questo genere e questa portata obbligano ad agire, anche se si parla di libri.  Continua a leggere “Una solitudine troppo rumorosa #6 – L’Oriana e Tiziano”

“Se te ne vai, muori”. A Chernobyl si vive: lo dicono le donne che hanno scelto di restare

Il 26 aprile 1986 il reattore numero 4 dell’impianto nucleare di Chernobyl è saltato in aria nel corso di un test sulla capacità di raffreddamento. L’incendio nucleare durò una decina di giorni, vomitando radiazioni 400 volte tanto quelle della bomba sganciata su Hiroshima. Ad oggi si tratta del peggiore incidente nucleare al mondo. L’esplosione di Fukushima nel 2011 sta ancora trascinando i suoi effetti, ma senza dubbio quello di Chernobyl è il caso più grave. Continua a leggere ““Se te ne vai, muori”. A Chernobyl si vive: lo dicono le donne che hanno scelto di restare”

Una solitudine troppo rumorosa #5 – Vila-Matas, Bartleby e compagnia

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“Il no è meraviglioso perchè è un centro vuoto, ma sempre fruttifero. Uno spirito che dice no con tuoni e fulmini nemmeno il diavolo in persona può costringerlo a dire sì. Perchè tutti gli uomini che dicono sì mentono; invece gli uomini che dicono no, be’, si ritrovano nella felice condizione di giudiziosi viaggiatori attraverso l’Europa. Varcano la frontiera dell’eternità con l’Ego come unico bagaglio. Mentre al contrario, tutta quella gentaglia che dice sì viaggia con mucchi di valigie e, maledetti loro, non oltrepasseranno mai le porte della dogana.”

Questo scrive in una lettera Herman Melville, lo scrittore celebre per la storia di Achab e la balena Moby Dick. Lo scrive al suo amico, altro celebre scrittore americano, Nathaniel Hawthorne. Continua a leggere “Una solitudine troppo rumorosa #5 – Vila-Matas, Bartleby e compagnia”

Una solitudine troppo rumorosa #4 – Benjamin, Immagini di città

benjA Berlino c’è un vestito che ti voglio comprare
A Berlino la luce piove dai lampioni
Come la nebbia intorno a Milano
[…]
A Varsavia, c’è un teatro dove ti voglio portare
Quando ritorno indietro,
Quando ritorno
Last Minute, Ivano Fossati

Le città sono i paesaggi che dipingiamo nel nostro autoritratto, come scrisse in una parabola Borges, in cui si raccontava di un pittore che cercava di dipingere tutto quello che aveva visto nella vita: laghi, fiumi, strade, persone e tutto quando e scoprì alla fine di essere riuscito a fare solo il proprio autoritratto.
Si tratta di passaggi di una vita di continuità (la mia Milano, ad esempio), oppure la subitanea memoria di città di viaggio in cui una nuova vista ci apre una geografia sconosciuta della bellezza di cui l’umano è capace. I viaggi creano geografia dell’alterità. Ci mostrano il brulicare di vite degli altri, sconosciuti passanti di sconosciute vie da cui si apprende uno stare al mondo che è per forza di cose diverso dall’abitudine. Si torna, poi, con posti in testa dove portarci una donna. Memorie di posti dove si è scritta una canzone che nessuno ha mai sentito, poesie che nessuno ha mai letto, diari nascosti negli armadi, romanzi gettati via, lettere mai spedite. Bar ormai chiusi di piazze pedonalizzate. Città di frontiera diventate libere, se si fa lo sforzo di imamginare che solo 25 anni fa il mondo era spaccato in due e c’era una città, spaccata in due, dove oggi si corre per club, disco, università. Berlino del cielo diviso, come nel romanzo di Christa Wolf. Lì c’era un Mlecny bar, avrà detto qualuno guardando la vetrina di uno Starbucks in una nuova modernissima città polacca. Continua a leggere “Una solitudine troppo rumorosa #4 – Benjamin, Immagini di città”