Il sex appeal della letteratura al cinema: I have a dream…torniamo a leggere

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Di recente ho visto due film in un cineforum di provincia pieno di persone, una sera in settimana: Il giovane favoloso di Mario Martone e Maraviglioso Boccaccio dei fratelli Taviani.

Premesso che non ci capisco molto di cinema in senso tecnico, cerco però di capirci di letteratura e quindi, per deformazione professionale, non ho potuto fare a meno di ragionarci sopra dopo la visione. Capita quasi ogni anno che registi, scrittori, artisti ci propongano un memoriale, un omaggio, in nome di qualche grande defunto o di un evento della storia degno di essere ricordato, e di solito questo accade in occasione di qualche anniversario (di morte, di vita) e a quanto pare piace parecchio, a giudicare dal successo in cassa. In questi due casi, invece, possiamo stare tranquilli: non si tratta, stranamente, di opere “a tavolino”, ma pare di atti liberi e gratuiti (Leopardi nasce nel 1798 e muore nel 1837, i 700 anni dalla nascita di Boccaccio sono stati festeggiati nel 2013). Tuttavia, quando ho sentito parlare di queste due versioni, la prima cosa che ho pensato è stato quanto potesse essere riduttivo e difficile rendere su uno schermo la vita e le opere di due uomini. Perché qui si parla proprio di un uomo e della sua vita, peraltro di un poeta, quindi oltre alla vita c’è anche la scrittura, che alla vita si intreccia, e dell’opera di un uomo fatta al suo interno di tanti uomini e di tante storie, innanzitutto umane. Come si fa a mettere tutto questo in un film?

“Favoloso” e “Maraviglioso”, due aggettivi simili, che accomunano per risonanza le due pellicole. Di “favoloso” il motivo lo conosciamo: è una citazione, tratta da un racconto di Anna Maria Ortese, intitolato Pellegrinaggio alla tomba di Leopardi (nel libro Da Moby Dick all’Orsa Bianca) in cui si dice «Così ho pensato di andare verso la grotta/in fondo alla quale, in un paese di luce/dorme, da cento anni, il giovane favoloso». E in effetti è proprio la luce a dominare nel film, quasi che sia uno strumento che annulla luoghi e tempo (peraltro sfondi importanti nella ricostruzione della vita artistica di Leopardi) per concentrare l’attenzione sullo sguardo del poeta sulle cose, naturali, popolari, quotidiane o intellettuali che siano, e seguirlo nei cambiamenti del suo pensiero, della sua lingua (da regione a regione, da scritto a parlato), della sua poesia. “Maraviglioso” invece, scelto nella sua versione trecentesca e toscana, è forse dovuto alla sfumatura molto teatrale e coloratissima di questa versione di Boccaccio, che ha un precedente piuttosto rilevante nel Decameron di Pasolini del 1971, molto lontano dai Taviani. Qui si dà spazio ai movimenti, alle voci, ai colori (dei costumi, dei paesaggi, delle scelte fotografiche), alla metafora: poca la trivialità, l’erotismo, la sensualità, di contro al racconto dei corpi, della sessualità che Pasolini ne fece nel pieno delle battaglie per la libertà d’espressione. Non a caso i Taviani scelgono di mettere in luce un dettaglio della storia, che è quello della regola della castità imposta nella combriccola di giovani in fuga dalla peste nelle campagne fiorentine, niente amore tra di loro, per non “dar materia agl’invidiosi”. E quando Boccaccio dice che le ragazze fanno il bagno nude nel fiume e i loro corpi sono nascosti dall’acqua come una vermiglia rosa da un sottil vetro, i registi le coprono con pesanti sottane bianche.

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Ad ogni modo quello che interessa di più è come siano stati utilizzati i testi letterari nella realizzazione di queste due versioni, l’una (Boccaccio), a mio modesto parere, molto più conforme al grande pubblico, l’altra caratterizzata invece da stratificati livelli di lettura. Partiamo da Martone. Il testo di Leopardi ha un peso importantissimo nel film. La voce accompagna le scene con la lettura e l’interpretazione di canti, odi, prose, passi dello Zibaldone, lettere o traduzioni dell’autore. Il testo è citato alla lettera, a volte commentato, sempre inscrivibile con facilità nelle fasi della produzione leopardiana: il testo è protagonista insieme alla figura del suo autore. Chi ne sa di più ritrova con piacere scelte non del tutto aspettate o piccoli dettagli, chi ne sa meno resta affascinato dalle parole e dalla musicalità delle opere più famose. Sono i testi, oltre alle scene, a dare al pubblico, meglio se in un paio di visioni, la giusta lettura della figura rappresentata, troppo spesso imbrigliata nei tristi e riduttivi luoghi comuni, italiani e non. Così si capisce, tra le altre cose, il senso corretto del dolore del poeta, che nel film non cade mai nella rappresentazione grottesca della malattia o del disagio del singolo, ma dal singolo va all’umanità tutta, e dal male alla verità ultima delle cose, laica e rivoluzionaria per i suoi tempi, contraria alla religione e anche al progresso cieco: «La verità sta nel dubbio», dice Leopardi nello Zibaldone, e il film riprende questo pensiero in una scena in cui il poeta discute con la sorella Paolina. E così si esce dal cinema, almeno per certi versi, come si esce dalla lettura di Leopardi, anche se i registri comunicativi e le sensazioni di chi ne fruisce sono sicuramente differenti, confermando le considerazioni del grande critico Walter Binni: «ogni lettore che abbia storicamente e correttamente compresa la direzione delle posizioni leopardiane (anche se personalmente non le condivida interamente) non può comunque uscire dalla lettura di questo capolavoro filosofico ed etico, inscindibilmente poetico, senza esserne coinvolto in tutto il proprio essere, senza (per usare parole leopardiane) “un impeto, una tempesta, un quasi gorgogliamento di passioni” (e non con l’animo“in calma e in riposo”) che è appunto per Leopardi il vero effetto della grande poesia.»

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Diversa la scelta dei fratelli Taviani. Qui il testo è ripreso, ma non alla lettera, è piuttosto rappresentato, spesso rielaborato, adattato a un pubblico più vasto. Si fa attenzione a volte alla resa linguistica, un accento toscano più o meno trecentesco, lessico dell’epoca, ma non necessariamente si tratta di citazioni. Quello a cui si dà importanza qui è piuttosto la storia, la resa dello “spirito dell’opera”, delle intenzioni ultime del testo nella sua epoca e, in parte, nella nostra. A partire dall’accento posto sui motivi che portano i ragazzi a questa strana convivenza a metà tra l’idilliaco e il tragico: la peste come morte di massa, come insieme di corpi ammucchiati e sconosciuti, ma soprattutto, la connessa disgregazione sociale, di affetti, di usanze, un disagio diffuso nei confronti del senso della vita e del futuro. Una sensazione che non si allontana neanche troppo da quella che oggi si percepisce di fronte alla cronaca quotidiana. Si privilegia la dimensione di collettività e solidarietà umana del gruppo di giovani e l’importanza dell’arte, in particolare della narrazione, come sfogo e rifugio alla contaminazione dei tempi. Una rielaborazione come tante, tutta italiana, che tenta, non sempre riuscendo, di non snaturare il fine ultimo dell’opera. Varia è la resa delle novelle: montate senza rispetto per l’ordine letterario, due sono tratte dalla prima parte del Decameron e raccontano la lotta dell’uomo contro le forze della natura umana (l’amore grande classico nella storia di Tancredi, Ghismunda e Guiscardo e in quella di Federigo degli Alberighi), tre dalla seconda parte, sono quelle della lotta del singolo nella società (Calandrino, la badessa Usimbalda, Nicoluccio e Catalina). Le novelle dei Taviani puntano sulla teatralità delle passioni, sull’esasperazione delle caratteristiche delle figure e dei valori morali o disvalori di cui sono portavoci, con scelte tragiche alternate a comicità.

Ma se queste pellicole hanno successo merito certo è anche dei testi da cui partono e che fanno propri, e se questi testi si diffondono tra il pubblico non specialistico merito certo è anche dell’impatto e del registro cinematografico. Quello che resta fondamentale, però, è che il rapporto tra gli uni e le altre non snaturi troppo l’essenza dei primi che sono le fonti. Non sono una fan della non contaminazione, perché trovo divertente e naturale che l’arte viva di stratificazioni storiche e riletture continue, ma credo che si debba avere bene in mente, fosse anche solo per onestà verso la Storia e verso gli uomini, la corretta natura del testo da cui si parte prima di creare qualcosa di diverso e diffonderlo, e questo è un problema soprattutto per il pubblico. La verità infatti è che, nel caso della letteratura in particolare, il pubblico non è pronto e spesso non conosce correttamente la fonte di partenza (i commenti in sala erano piuttosto imbarazzanti): c’è il rischio quindi che non sappia distinguere cosa è rilettura da cosa è originale e che vinca quello che ha un impatto maggiore e una maggiore semplicità di memorizzazione, portando a lacune o convinzioni sbagliate. La sfida in questo caso, dato che si parla di testi letterari, è in mano alla scuola e all’editoria, io credo. Bisogna tornare a leggere i testi, leggerli a scuola, prima della critica e dei manuali. Leggerli e basta e capirli e contestualizzarli storicamente, riflettere sulla lingua e sulla struttura, prima di qualsiasi introduzione, riassunto o interpretazione. Bisogna che l’università prepari i futuri insegnanti non solo su “come insegnare” ma anche su “cosa insegnare”. Bisogna che l’editoria punti sulla qualità, su buone traduzioni, buoni commenti, non solo su nomi famosi o belle copertine. Forse così quando andremo al cinema a vedere pellicole come queste ne usciremo (tutti) arricchiti e non confusi, o peggio, sicuri di qualcosa che così non è.

2 pensieri su “Il sex appeal della letteratura al cinema: I have a dream…torniamo a leggere

  1. Ho visto entrambi i film: il Leopardi di Martone mi ha conquistato molto come atmosfere e recitazioni, il Boccaccio dei Taviani mi ha lasciato poco soddisfatto, sembrava più che un film d’autore, un tutto sommato buon film TV.

    Se ti può interessare ne ho parlato qui (se ritieni spam cancella pure): https://loscalzo1979.wordpress.com/2014/12/04/la-prima-rece-non-si-scorda-mai-il-giovane-favoloso/ quello di Martone; https://loscalzo1979.wordpress.com/2015/03/24/la-prima-rece-non-si-scorda-mai-maraviglioso-boccaccio/ quello dei Taviani.

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