Sono tre, forse quattro, sicuramente non più di cinque, i registi per i quali la mia immensa stima si tradurrà sempre in una poltrona, qualche amico, il grande schermo del cinema e un biglietto sempre più caro per godermi la loro opera.
Uno di questi è Edgar Wright.
Regista giovane, solo quattro film in filmografia: la trilogia del cornetto e un cinecomics. Troppo poco, forse. Troppo poco impegnato, falso. Troppo bravo.
Di lui si parla molto in questi giorni perché è in uscita Ant-Man, il cine-fumetto Marvel che concluderà la fase 2 del progetto Avengers. Un film che Wright avrebbe dovuto sceneggiare e dirigere, cose che non ha fatto per divergenze con Disney, finanziatrice dell’opera. Caso strano, dato che Joss Whedon, il regista di entrambi i film degli Avengers e responsabile della continuità del progetto, ha affermato che la sceneggiatura di Wright era la migliore che avesse mai letto per un film Marvel e che aveva deciso di inserire il personaggio nella storia principale solo in virtù di essa.
Io, la prima volta, ne ho sentito parlare per via della Trilogia del Cornetto, nome che non ha ispirato niente a me come non lo sta ispirando a voi che leggete e ne siete all’oscuro. (Per la cronaca, così si chiama perché in ognuno di essi, anche per un breve istante compare un Cornetto, ogni film un gusto diverso).
Ancora non avevo visto nessuno dei tre quando sono impazzito guardando Scott Pilgrim vs. the World, tratto dal fumetto Scott Pilgrim di Bryan Lee O’Malley. L’ho visto almeno cinque volte in un mese, tre volte in poco più di una settimana. Lo guarderei anche mentre sto scrivendo questo articolo, e probabilmente lo farò prima di finirlo(nota mia: l’ho visto due volte, una in italiano e una in spagnolo).
Poi ho visto L’alba dei morti dementi, Hot Fuzz e La fine del mondo. E me ne sono innamorato.
Quello che voglio fare nelle prossime righe è parlare un po’ di tutti questi film, perché mi va. La speranza è di trovare qualcuno matto come me o, magari, trasmettere la mia passione per avere finalmente compagnia.
Inoltre, avanzando piano piano di film in film, vorrei mettere in luce diversi aspetti dello stile di Wright che ogni volta mi fanno emozionare e che caratterizzano tutte le sue opere, a partire dalla serie tv inglese Spaced(che si trova con non poche difficoltà su Youtube), la quale è davvero un piccolo gioiellino e, precedente a tutto il resto, contiene già tutto quello che verrà dopo.
(Intanto sul mio lettore VLC parte Scott Pilgrim vs. the World)
L’ALBA DEI MORTI DEMENTI
Il primo film della Trilogia è un film di zombie. Se non fosse del 2003 si potrebbe dire che appartiene a quel filone che grazie a The Walking Dead è tornato ora di moda e, se ne facesse parte, ne sarebbe insieme parodia e miglior prodotto. Invece l’ispirazione è altra ed è lontana nel tempo. Con grande maestria Wright(spalleggiato da Simon Pegg, protagonista e sceneggiatore di tutti i film della Trilogia del Cornetto, al loro fianco sempre Jack Frost come co-protagonista) si rifà ad un maestro del passato, George Romero, che ha costruito la sua fama su un’altra trilogia, quella dei morti viventi.
Esattamente come il suo predecessore, il regista inglese esce dal confine del film di genere e ne fa una questione sociale. L’obiettivo della critica sono due intere generazioni, quella dei giovani dipendenti dalla tecnologia e quella dei loro genitori incapaci di adattarsi alla tecnologia.
Sin dalle prime scene Wright ci introduce una delle sue armi piú affilate: l’ironia. Sappiamo che si tratta di un film di zombie, ma veri e propri zombie non ce ne sono. Le inquadrature e i suoni sono da film dell’orrore ma ogni volta che pensiamo di essere finalmente arrivati ancora nulla. Nella prima mezz’ora non c’é traccia di zombie, i mostri sono i vivi dormienti: ragazzi in coda all’entrata di un negozio di tecnologia, la pallida popolazione di un bus alla mattina, tutti sempre con lo sguardo fisso nel vuoto, incapaci di comunicare tra loro.
Ecco, un altro aspetto dei film di Wright é il ritmo. Non si tratta di un lento crescendo verso il finale, ma di picchi di tensione che si succedono e si mischiano a scene di acuta ironia, coinvolgendo lo spettatore per tutta la durata del film. Credo di esserci arrivato, no, non ancora, é solo un altro ubriacone all’uscita del pub.
Poi gli zombie arrivano, tra di loro c’é pure la madre del protagonista che, nemmeno 50enne, si mimetizza alla perfezione perché il contatto con l’umanità l’ha perso da un pezzo.
La critica sociale è solo un aspetto, poi c’è anche una regia brillante e sprezzante(ne parliamo dopo), di cui è sintesi perfetta la scena del combattimento nel pub in cui i protagonisti, mentre dal jukebox suonano i Queen con Don’t stop me now, non vogliono più smettere di malmenare gli zombie.

HOT FUZZ
Quando si tratta di girare il suo secondo film Wright decide di cambiare tutto per non cambiare niente. Si passa dall’orrore all’azione, rimangono parodia, ironia, Jack Frost e Simon Pegg. L’obiettivo critico del film è la sua stessa essenza, l’azione e il poliziesco.
A far saltare tutto in aria si comincia presto, non si tratta di esplosioni nel senso letterale del termine(quelle arriveranno, che epigono di Die Hard sarebbe altrimenti?), ma si tratta di far saltare in aria dei cliché.
L’agente di polizia non é un ex-delinquente o un giustiziere improvvisato, anzi é il migliore del suo corso, il più bravo poliziotto in città, così bravo che da quando c’è lui non c’è più bisogno della polizia. Ovviamente i suoi meriti sono ricompensati e, dato che la polizia non si può permettere uno come lui, viene mandato a Sandford, la città col più basso tasso di criminalità di tutto il paese.
Proprio l’incredibile perizia del poliziotto interpretato da Simon Pegg,, aiutato da un Jack Frost utilissimo idiota, svelerà come stanno veramente le cose in un dei più classici, ma allo stesso tempo sorprendenti, finali alla Agatha Christie.
I pregi di questo film non sono finiti. Lo stile di Wright cambia, si adatta all’azione, diventando frenetico. Alle lunghe sequenze sono preferiti dei repentini scatti da un particolare all’altro.
In tutto questo però emerge un certo gusto del regista verso piccole cose presenti in tutti i suoi film: dalle classiche transizioni laterali con attraversamento dell’inquadratura da parte di persone, animali o cose da una sequenza all’altra, alle le scene riassuntive che scorrono da sinistra a destra dello schermo(proprio come potrebbe accadere in un fumetto! – ne avevo parlato qui), sino al gusto per l’effetto speciale calibrato, il coraggio di far vedere e la capacità di realizzare una testa mozzata se ce n’è bisogno.

SCOTT PILGRIM VS. THE WORLD
A questo punto Wright ha i soldi e la reputazione necessaria per realizzare,e produrre, un sogno: girare un film su un fumetto.
Scott Pilgrim vs. The World è senza dubbio il film di Wright che preferisco. Che lui sia familiare al mondo cartaceo del fumetto si vede in ogni scena, la fedeltà alle tavole di Bryan Lee O’Maley è impressionante, gli effetti speciali riproducono persino didascalie e suoni onomatopeici.
Wright si tradisce solo quando è costretto a tralasciare la complessità della trama di O’Malley per esigenze di tempo cinematografico, ma il tutto è ripagato a livello visivo, e musicale.
Un comics si legge in silenzio, un film si ascolta anche. E le canzoni dei Sex Bomb-omb sono la colonna ideale per la fresca slap-stick comedy messa in scena da Wright, adatte a trasmettere la carica necessaria per affrontare la Lega dei sette malvagi ex-ragazzi(e ragazze) di Ramona Flowers.
Di note di merti ce n’è ovunque, una tra tutte è abbandonare Simon Pegg per Michael Cera e non tradire il risultato.
E il laboratorio registico messo in piedi da Wrght per l’occasione. Ancora una volta si cambia tutto: le sequenza si allungano, i tempi comici non sono scanditi dai cambi di inquadratura ma da movimenti di camera, le scene di lotta sono lunghe, spesso girate in long-take, e dal tipico taglio cinematografico si passa a quello del videogioco(vedere la sfida al secondo malvagio-ex e a Gideon).
E infine Wallace, il coinquilino gay di Scott, è uno dei personaggi più divertenti degli ultimi anni di cinema. Per non parlare Ramona, per non parlare di Ramona, per non parlare di Ramona.

LA FINE DEL MONDO
Il quarto film di Wright è l’atto conclusivo della trilogia del cornetto. Immediatamente ci si accorge che, dopo la parentesi fumettistica, Wright è maturato come regista. Messe da parte le sperimentazioni ma non la classica ironia, La fine del mondo è girato con consapevolezza, ormai Wright sa cosa deve e fare lo fa al meglio.
La trama è semplicissima. Simon Pegg è Gary King, uomo di mezz’età scoppiato, fermo coi ricordi all’atto ultimo della sua gioventù, momento nel quale la sua vita ha iniziato la parabola discendente, e deciso a ritornare nella cittadina in cui è nato, cresciuto e divenuto il “Re”, per completare quanto lasciato in sospeso e ritornare a vivere al massimo, almeno per una sera.
Tutto questo non sarebbe possibile se non riuscisse a rimettere insieme la banda. E King, convincendo e imbrogliando uno ad uno i suoi vecchi compari(Blues Brothers!!), con un astuto inganno strappa gli ormai adulti amici di un tempo alle loro borghesi vite di città e li porta con sè nel suo viaggio alla riscoperta dei bei tempi perduti.
Il piano è completare il giro dei 12 bar del paese, ultimo dei quali è per l’appunto il The World’s End, ed necessario per la buona riuscita del piano che il tutto avvenga in una sola notte, e che in ogni locale tutti bevano una pinta di birra.
Le difficoltà iniziano subito: Andrew è astemio da anni e ordina un bicchiere d’acqua. Ben presto però il pericolo di “un’invasione pacifica” dell’umanità atta a “esportare la democrazia” nell’Universo farà mettere da parte ogni divisione – e convincerà Andrew a bere la sua pinta – al fine di combattere l’ultima battaglia, quella per la libertà del genere umano.
Ancora una volta il finale è d’oro. Arrivati a The World’s End, bene e male si mischiano verso l’inevitabile conclusione dal sapore allo stesso tempo dolce ed amaro, la cui interpretazione in un senso o nell’altro è lasciata allo spettatore.
La degna conclusione di un ciclo nel quale l’uomo si libera dalle catene dell’uniformazione a tutti i costi, e ne paga le conseguenze.
Per ora è tutto, nell’attesa che esca Ant-Man(alla fine il mio eroe è stato accreditato come sceneggiatore e produttore esecutivo) e con la buona novella che Wright presto tornerà sul set per dirigere il suo nuovo progetto: Baby Driver.
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