Due partiti hanno rinunciato alla loro identità per accumulare voti. Potrebbero perdere molto più di quello che credono.
Tra il 1263 ed il 1264 andava in scena, nei teatri della Francia settentrionale, un poema liturgico a firma di Rutebeuf, misterioso poeta francese di cui non si sanno con certezza nemmeno le date di nascita e di morte. Il titolo dell’opera era Le miràclede Teodophile, ossia la storia di Teodofilo di Adana, un siniscalco vissuto nel sesto secolo dopo Cristo che, deludendo le pressanti richieste della sua gente, rifiuta di diventare vescovo. Caduto in miseria e pieno di rancore, egli stringe un patto col Diavolo, recupera i suoi onori e si prende la sua rivincita, insultando tutti coloro che ritiene responsabili delle sue disgrazie.
Sette anni dopo il rimorso lo spinge ad invocare la Madonna, che dopo severissimi ammonimenti lo perdona, liberandolo dal fardello del cahu (il patto col Demonio, appunto).
Il tema del “patto col Diavolo” nasce probabilmente qui, o quantomeno qui nasce la sua trasposizione teatrale, che Johann Wolfgang von Goethe porterà alle massime vette nel 1808, quando scriverà la sua versione del “Faust”, personaggio ripreso in varie forme ed in diverse epoche da Thomas Mann, Gertrude Stein, Paul Valery, Stephen King, Arrigo Boito, Igor Stravinskij Eugene Delacroix e molti altri.
Molto conosciuta, la storia del dottor Faust è quella di un uomo, che la cultura popolare tedesca vede come un chierico o uno scienziato, che per brama di conoscenza si accorda con Mefistofele. Mefistofele, rappresentazione di Satana, gli concede di arrivare a tutto lo scibile ma in cambio della sua anima. Faust stringe il patto col Diavolo e diviene un corpo fisico, intriso di sapere ma svuotato dello spirito.
Il gesto di Faust mi è tornato in mente oggi, quando Marco Travaglio a Ballarò ha detto che una delle ragioni della sconfitta alle elezioni regionali in Liguria di domenica 31 maggio è stata la “perdita dell’identità” del partito. L’identità di una forza politica, al netto che ognuna di quest’ultime ha più facce interne (il PD particolarmente, peraltro), è quella comunanza di intenti, di ideali, di sforzi che unisce molte, moltissime persone nel perseguire uno scopo comune, ossia governare per il bene della propria comunità. L’identità di un partito è la sua anima e i partiti che hanno partecipato da protagonisti alle elezioni di domenica quell’anima l’anno venduta.
Specifico: i partiti. Specifico perché il Movimento 5 Stelle, da cui voglio partire, la sua anima non l’ha venduta. Non l’ha fatto ora, quantomeno. L’ha fatto in parte in occasione delle europee, quando cercò le alleanze che in Italia ha sempre rifiutato e fece una figura piuttosto misera, includendosi in un gruppo con gente discutibile tanto quanto gli alleati dei partiti che in patria combatte e pagò l’azzardo, perché lo scioglimento del gruppo stesso lo ha condannato ad essere pressoché ininfluente per il resto della legislatura.
Un anno dopo al Movimento bisogna riconoscere che l’accordo col Diavolo non l’hanno preso in considerazione.Beppe Grillo l’ha detto: “niente alleanze” e così la tentazione di poter finalmente governare, anche se in collaborazione con quelli che dei grillini sono poi i nemici (cioè qualsivoglia partito) è stata respinta. Faranno opposizione ovunque, continueranno a non governare, duri e puri ma con l’anima intatta e saldamente nelle proprie mani. Forse, visti da fuori, sembreranno quelli che si lamentano sempre e alla fine non vogliono unire le forze e collaborare, forse hanno buttato un’altra possibilità di influire in prima persona, di legiferare, di decidere e forse non ne avranno molte altre, anche perché la Storia politica del paese dice che le forze politiche italiane sono molto più effimere di quelle di altre nazioni, ma certamente, Faust non aleggia nelle loro coscienze.
L’avido dottore tedesco si può trovare però, altrove. E anche nettamente.
Matteo Salvini lunedì mattina era un uomo felice. La sua Lega Nord è obbiettivamente andata molto bene alle regionali, la sua nuova via paga: ha guadagnato molti voti dappertutto e ha schiantato la fragile concorrenza in Veneto. Proprio in Veneto si è compiuta la disfatta di Flavio Tosi, che dalla Lega salvinista è stato cacciato a marzo proprio perché in aperta polemica con la nuova linea e con la scalata di Salvini.
Ma come la Lega Nord si sia risollevata è sotto gli occhi di tutti: via il verde, via le parole “secessione”, “federalismo”, “terrone”, via l’immagine della Lega di Bossi e Miglio, via Alberto da Giussano e dentro “noiconSalvini”, dentro i meridionali, dentro una linea politica che è improntata non più, com’era nelle intenzioni della prima Lega Nord (di cui, non dimentichiamolo, Salvini è stato parte integrante e attiva fin dall’inizio), a liberare la parte ricca e produttiva del paese dal fardello di Roma e del Mezzogiorno. I nuovi nemici di Salvini, per ampliare la base elettorale decimata dagli scandali e dalle inefficienze, sono Renzi, gli immigrati, l’Unione Europea, i centri sociali e via dicendo. Nella “vecchia” Lega c’erano tanti “numeri 2”, si pensi a Maroni, Calderoli, Tremonti, Castelli, mentre in quella di Salvini c’è solo lui, leader senza generali. A fianco di alleati vecchi, come Forza Italia, sono comparsi i camerati di CasaPound, nuovi procacciatori di voti che nella Lega originaria non avrebbero potuto mettere piede, ma che ora sono ben accetti e cercati, sventolati assieme ai tricolore che hanno sostituito le bandiere col Sole delle Alpi.
Ha funzionato. La Lega Nord è rinata, ma per farlo, per risorgere dalle ceneri, ha venduto l’anima. L’ha sostituita con qualcosa di ibrido ma più appetibile, un mostro a più teste spogliato della propria identità che in Liguria s’è scontrata (vincendo) con quello dell’altro Matteo, comandante in capo di un’altra creatura che appare sempre più un guscio vuoto. Numeri e Storia dicono che Renzi guida una macchina raccoglitrice di consensi che ha tagliato i fili che la legavano al PD di Bersani, Franceschini e Veltroni. In quel Partito Democratico lì, però, un’anima c’era. Anzi, ce n’erano parecchie.
La cosiddetta “sinistra parlamentare” italiana ha avuto una marea di correnti, ognuna con le sue caratteristiche e con i propri leader. Nel 2007 tanta di questa sinistra è confluita nel Partito Democratico e negli ultimi tre anni il PD ha visto la scalata interna di Renzi, che lo ha portato al risultato senza precedenti delle elezioni europee, il famigerato capolavoro renziano del 40%. Al netto del fatto che le regionali 2015 hanno comunque arriso al PD, che ha perso in due regioni in cui una vittoria sarebbe stata forse sorprendente, considerando che il Veneto è sempre sembrato in mano a Luca Zaia e che il Partito Democratico in Liguria ha collezionato figure vergognose e patetiche, questo voto ha palesato una cosa: l’anima del PD è stata sacrificata.
Dalla rissa del premier/segretario con la Bindi legata vicenda dell’”impresentabile” De Luca, allo scandalo delle primarie contestate da Sergio Cofferati che stracciò la sua tessera di Partito, lasciando che a guidare la creatura fosse Raffaella Paita, successivamente indagata e invischiata in quello stesso fango che più volte ha colpito Genova e la Liguria sotto l’amministrazione del Partito Democratico. Infine, la fuga dell’ala sinistra del partito regionale, la decisione di non curarsi delle opposizioni interne sui temi di lavoro, scuola e riforme costituzionali, le dimissioni di Speranza, il capogruppo alla Camera dei Deputati e Pippo Civati che molla il premier per unirsi a quelli che quel partito mangia-voti senza cuore e memoria lo avevano già lasciato fin dai tempi dei governi Monti e Letta o da quelli più recenti del “patto del Nazareno”, stretto col nemico di sempre, Silvio Berlusconi.
La sinistra che abbandona il partito che della sinistra dovrebbe essere leader, e il partito stesso che nella figura del suo leader non se ne cura in nome del consenso. La fede leghista sotterrata per ritornare a sorridere davanti a sondaggi ed exit poll.
In una versione della storia del dottor Faust del 1580 di Cristopher Marlowe, il protagonista, dopo aver scambiato l’anima con l’onniscienza, commette un grande errore: quando un angelo buono gli offre le possibilità di redimersi, egli si dimostra cieco e sordo, rifiutando. Tempo dopo, Mefistofele compare a riscuotere l’anima del corrotto, che nulla era riuscito a realizzare delle magnifiche cose auspicate. Dopo aver rinunciato a sé stesso per avere tutto il resto, Faust è trascinato all’Inferno, condannato alla dannazione eterna e senza aver ottenuto ciò che pensava valesse la sua anima.
Non verrà il Diavolo a trascinare i due Matteo all’Inferno. Non cercano quel che cercava il dottor Faust, dopotutto, ma forse cosa gli accadde dovrebbero ricordarlo, soprattutto perché hanno venduto identità che appartenevano a tanti per avere in mano il futuro di tutti. Il demone del gioco politico ha avuto ciò che gli hanno sacrificato e ora aspettiamo. Un giorno guarderanno ciò che hanno ottenuto e sapranno se davvero se è valsa la pena di vendersi l’anima.
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Articolo interessante ma mi permetto di dissentire su un paio di punti:
– Il “non cercare alleanze” dei 5stelle non è una “prova di non voler vendere l’anima”, ma è semplicemente seguire l’ottusa linea di Grillo per cui gli “unici ONESTI sono LORO” e gli altri “NO” ….. il mettersi a un tavolo per fare riforme condivise o nelle giunte per leggi condivise con forze politiche non è a mio giudizio “vendere l’anima al Diavolo” ma per me si tratterebbe di fare “scelte intelligenti” di mediare per portare risultati politici importanti che mostrerebbe come il M5S, aprendosi, possa ottenere vittorie.
– La svolta labour del PD non è un “sacrificio dell’anima” (intesa come quella comunista) del PD: quel “sacrificio” si è compiuto con la famosa svolta della Bolognina dell’89, quando nacque il PDS ed era evidente il crollo del sistema comunista europeo … il fatto che Renzi, eletto a maggioranza segretario del PD e poi chiamato (da quelli che ora lo contestano) a sostituire Letta alla Presidenza del Consiglio, non voglia permettere alle correnti minoritarie del PD e alla sinistra radicale che pretendono di dettare LINEA alla MAGGIORANZA del partito, non credo sia individuabile come un “vendere l’Anima al Diavolo”.
Al massimo di “aver venduto l’anima” è imputabile a quell’elettorato-banderuola che prima vota 5stelle e poi Lega per seguire il populista del momento o all’elettorato moderato di centrodestra che ora vota centrosinistra.
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Ti rispondo a modo mio, pur non sapendo cosa ne pensi Diego.
Quando si parla di “vendere l’anima” si fa riferimento a certe linee guida che il partito si è dato alla sua fondazione.
Il 5 Stelle, rimanendo orbo ai fatti della politica, non ha accettato alleanze perché nella “loro anima” di non accettare compromessi e tenere una linea intransigente. Li si può certamente accusare di non collaborare o che questa politica non porti al consenso, ma non si può dire che con questo si tradiscano, anzi. Sono due piani diversi e secondo me stai facendo confusione.
Allo stesso modo il PD sta abbandonando la sua essenza perché le politiche applicate ora sono distanti dalla fondazione PD. E no, non è vero che ci si deve rifare all’89, il PD ha cambiato totalmente politiche dall’avvento di Renzi che ha dato una forte sterzata verso il centro(il fatto che vada sempre in giro con Marchionne e Farinetti lo fa capire, i vari Bersani, Prodi ma anche D’Alema non avrebbero mai potuto farlo).
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Infatti ho detto che secondo i 5stelle non si sono venduti “l’anima” MAI, perchè confondere la trattativa politica con la vendita degli ideali non HA SENSO.
Quanto al PD, ripeto quel che ho detto, l’anima il PD non l’ha venduta MAI, semplicemente perchè nasce già come partito destinato a mutare nel Laburismo; l’anima l’han venduta quelle stesse persone che gridano ora allo scandalo ma che nell’89 (c’erano già bersani e d’alema, giusto per ricordare) misero fine al PCI e crearono il PDS.
la frase “il fatto che vada sempre in giro con Marchionne e Farinetti lo fa capire, i vari Bersani, Prodi ma anche D’Alema non avrebbero mai potuto farlo” per giustificare questa “vendita” è quantomeno semplicistica: magari non lo facevano in pubblico preferendo farsi vedere a braccetto coi sindacalisti, ma assicuro, leggendosi un pò di storia della politca moderna, che i citati da lei nei salotti bene e nelle riunioni i vari Romiti, Agnelli, Marcegaglia e compagnia cantante li frequentavano eccome.
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Dipende sempre da quanto é ampia, o stretta, nel caso dei 5 Stelle, la propria definizione di ideale. Ragionare in termini di trattativa é oltre quel limite per i 5 Stelle(sbagliano? Il risultato può non essere il fine ultimo)
Sulla politica. Farsi vedere pubblicamente é un atto politico.
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che sia atto politico sono d’accordo, preferisco l’atto in pubblico che tanti giochi nascosti, come amava fare, per dire “la cara vecchia politica” rappresentata da tanti (ancora per poco) veterani della politica che ora s’indignano per le scelte del Governo
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Complimenti per l’articolo.
La mia opinione è che in politica “vendere l’anima” sia un presupposto fondante, una condizione indispensabile perché il mefistofele del politico è il consenso.
Si tratta quindi di un contratto di vendita che si rinnova continuamente, un contratto flessibile, attivo dall’istante stesso in cui si decide di fare politica.
Credo, quindi, che non ci si dovrebbe sorprendere più di tanto dell’evoluzione della Lega.
Il mov5s non ha nulla da vendere perché anima vera e propria non ha: persegue semplicemente l’obiettivo per cui è stato creato;
il PD un’anima ce l’aveva ma da almeno 30 anni è in custodia al Faust della finanza internazionale, non è un contratto di recente sottoscrizione.
Entrambi, con ruoli diversi, giocano dalla stessa parte.
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Viene da chiedersi se si possa fare politica senza vendersi l’anima. Per il resto le identità culturali sono mutevoli tanto per le persone quanto per le associazioni. In ambito politico è il voto a stabilire se sia giusto o meno farlo. Oggi è andata bene, ma un domani chissà…
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Sinceramente non condivido l’idea di partito statico, con un’anima immortale da venerare in contemplazione. Se le idee di un partito non convincono più gli elettori o cambiano o non ci sarà più un partito di cui parlare. Questo, ad esempio, è successo con la Lega ed il fallimento del federalismo. Per il PD la questione è più complessa. Bersani nei fatti prima ha perso le elezioni e poi il partito (con la carica dei 101). La scalata di Renzi, con lo spostamento del baricentro del partito, è stata possibile perché Bersani ha perso le elezioni. Altrimenti avremmo scritto un’altra storia, soprattutto a sinistra.
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