Premessa: tentativo del pezzo è attirare l’attenzione su un caso limite che ha fatto di nuovo scalpore di recente. L’obiettivo è di fornire almeno nella prima parte elementi quanto più possibile oggettivi e documentati per dare modo al lettore di porsi qualche domanda e rispondere liberamente.
Camillo Langone è un giornalista italiano nato a Potenza nel 1962. Scrive per Il Foglio, Il Giornale, Libero, La Gazzetta del Mezzogiorno. Si occupa prevalentemente di rubriche enogastronomiche, religiose e letterarie. E’ autore di otto testi saggistici presso varie case editrici dai titoli Cari Italiani Vi Invidio, Scambio coppie con uso di cucina, Il collezionista di città, La vera religione spiegata alle ragazze, Guida alle messe, Manifesto della destra divina. Difendi, conserva, prega!, Bengodi, Eccellenti Pittori, uscito nel 2013. Come ammesso dallo stesso in un’intervista al blog Altrimenti non è iscritto all’Ordine dei Giornalisti.
Di recente, ossia il 9 aprile scorso, ha destato attenzione, sul web e non solo, un suo articolo uscito su Il Foglio, quotidiano a diffusione nazionale fondato dal ben noto Giuliano Ferrara e diretto da Claudio Cerasa, intitolato “Ma Samantha non è un esempio da seguire”. La protagonista è l’astronauta Samantha Cristoforetti e la tesi sostenuta dall’autore va controcorrente rispetto alla popolare e un po’ banale immagine dell’eroina moderna, in questo caso più libera che mai, tanto esaltata dai media e dalla massa. Chiede Langone ai suoi lettori, a proposito di chi cita la Cristoforetti come esempio da seguire per i risultati raggiunti nel campo della ricerca scientifica: “Portare ad esempio un’astronauta, ossia una donna che per lungo tempo vive lontana anzi lontanissima dal proprio uomo, è utile nel momento in cui sappiamo che la causa principale del presente declino economico è il declino demografico? (“Non ho figli, e per questo per me è meno difficile coniugare vita professionale con vita privata. I compromessi, a questi livelli, sono necessari” ha dichiarato Samantha).” Niente di nuovo sotto il sole nell’ampia produzione del giornalista. Basta tornare indietro al 30 novembre 2011 e andare su Libero questa volta.
“Togliete i libri alle donne” era il titolo del pezzo che fece tanto discutere. Un avvertimento? Un consiglio? Nell’articolo si parla della decrescita demografica italiana e l’autore documenta con accuratezza le sue affermazioni ricorrendo a dati statistici e presunte analisi sociologiche. Entrano in gioco persino le piramidi demografiche, le rappresentazioni grafiche che servono per indicare i tassi di crescita di una popolazione. La piramide dell’Italia, come quella di pressochè tutti i paesi sviluppati e occidentali, ha la base stretta, il centro rigonfiato e la punta piuttosto larga: pochi giovani e bambini, tanti quarantenni, molti anziani. Scarsa proliferazione quindi e crisi di crescita. Unica la soluzione che Langone vede al problema: “Ebbene, gli studi più recenti denunciano lo stretto legame tra scolarizzazione femminile e declino demografico. La Harvard Kennedy School of Government ha messo nero su bianco che «le donne con più educazione e più competenze sono più facilmente nubili rispetto a donne che non dispongono di quella educazione e di quelle competenze». E il ministro conservatore inglese David Willets, ha avuto il coraggio di far notare che «più istruzione superiore femminile» si traduce in «meno famiglie e meno figli». Il vero fattore fertilizzante è, quindi, la bassa scolarizzazione e se vogliamo riaprire qualche reparto maternità bisognerà risolversi a chiudere qualche facoltà.” Una popolazione femminile meno dedita a studi e al lavoro e più attenta alla riproduzione, questo è in definitiva il consiglio della penna di Libero. Utile può essere a tal proposito una considerazione intuitiva che in un manuale di geografia umana si trova facilmente. Sì, nel paragrafo sui paesi del Terzo mondo in cui la prospettiva è ribaltata. L’aumento del tasso di scolarizzazione e dell’indipendenza lavorativa e economica femminile si connettono con una diminuzione del tasso di mortalità rosa, di gravidanza precoce, di sfruttamento e schiavitù e persino di mortalità infantile. Al lettore tirare le somme che crede.
Torniamo invece sul Foglio, per la precisione al 7 marzo 2013. Si parla del rogo doloso alla Città della Scienza di Napoli. Un po’ di ironia sulle dichiarazioni pompose di Roberto Saviano, considerazioni sulla situazione finanziaria dell’istituzione e sulla sua validità culturale, persino un accostamento interessante tra una citazione di Montale e una dichiarazione di Edoardo Bennato a poche righe di distanza. Langone si chiede quale valore culturale effettivamente avesse la Città della Scienza e risponde: “Ho scoperto che nei capannoni dell’ex Italsider si propagandava l’evoluzionismo, una superstizione ottocentesca ancora presente negli ambienti parascientifici. Il darwinismo è una forma di nichilismo e secondo il filosofo Fabrice Hadjadj dire a un ragazzo che discende dai primati significa approfittare della sua natura fiduciosa per gettarlo nella disperazione e indurlo a comportarsi da scimmia.”
Immediate in quei giorni le risposte a questa tesi coraggiosa e controcorrente: il biologo Maurizio Casiraghi, presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica, sorride: “È la “discendenza dell’uomo dai primati” a essere una superstizione ottocentesca che non vuole tramontare. Solo su una cosa Langone ha ragione, noi non discendiamo dai primati, noi siamo dei primati”.
Non può mancare poi in questa breve panoramica un riferimento ad alcune considerazioni a metà tra l’analisi sociologica e la rubrica erotica, altro ambito caro a Langone. E’ la festa dell’otto marzo scorso, tanto simbolica quanto semplicistica in effetti, ma la riflessione del giornalista supera ogni previsione. “Pagare meno le donne vuol dire amarle di più” dice e la critica è al Corriere che “come fosse un mensile di moda, una rivista da parrucchiere, in prima pagina aggredisce il maschio accusandolo di affamare la femmina: Uomini e donne divisi da 450 euro.” mentre per l’autore: “Da quando in qua il sesso è senza dominio?- ha scritto Elisabeth Lévy trovando il cuore della questione. Solo un marchettaro, o un amante bravo quanto un marchettaro, può avere un’erezione con una donna che guadagna, che conta, che comanda più di lui. Sappiano le donne che pagarle di meno significa semplicemente poterle amare di più.”.
E per finire un po’ di sana linguistica. Langone infatti è anche in prima linea nella difesa della lingua e della letteratura italiana. E sempre sul Foglio titola “Ci sono parole che una persona elegante non pronuncia mai. Gay, per esempio.” con sottotitolo “I neoturpiloqui involgariscono la lingua italiana”. In questo caso la tesi si fonda su quattro evidenze logiche che farebbero della parola un lemma che è meglio sostituire con altri sinonimi: è un parola anglo americana che mina la ricchezza espressiva dell’italiano e dei suoi dialetti; è una parola che saccheggia la lingua provenzale dove il termine Gay è un cognome che, spiega l’autore, oggi rischia di essere messo sotto scherno per una questione di omografia; è una parola che non si legge come si scrive e che quindi può provocare difficoltà di pronuncia, la non concordanza tra grafema e fonema colpirebbe infatti negativamente le capacità neurologica di linguaggio del bambino che non ha l’inglese come lingua madre; è una parola che impone un giudizio positivo sul referente che denota senza lasciare libertà di pensiero per chi ne è continuamente bombardato tra media e pubblicità.
Si potrebbe andare avanti ancora, e non solo con Langone, e non solo sfogliando Il Foglio o Libero, che sono un capro espiatorio piuttosto banale e estremo, utile per rendere più chiaro il fine del discorso. Quello che resta dopo letture di questo tipo sono tante perplessità che spesso si evita di esternare per non essere accusati di eccesso di moralismo, di incoerenza di ragionamento o di ingenuità. Posto che esiste fortunatamente la libertà di espressione, la libertà di stampa, la libertà di lettura, qual è il limite, o serve un limite, perché questa funzioni? Posto che abbiamo trattato in questo caso di quotidiani ben noti per il loro gusto di sollevare polemiche, stando al motto di Ferrara “Che se ne parli male, purché se ne parli”, esiste un qualcosa, una legge, un codice, che limiti la diffusione da parte dei giornali di informazioni dichiaratamente false (l’evoluzionismo non esiste) o che ledono in modo palese e convinto la dignità della persona o delle sue scelte, peraltro a tratti incitando a comportamenti violenti, contrari ai diritti umani riconosciuti a livello internazionale? Posto che qui non si vuole parlare di ideologia politica o religiosa (Il Foglio con la sua storia e le sue figure era solamente il caso più semplice da riportare) ma solo di giornalismo puro, perché nessuno ha impedito che uno Stato pagasse per finanziare pagine su cui appaiono opinioni facilmente passabili di denuncia? Perchè il Langone di turno ha la possibilità di scrivere e pubblicare a livello nazionale tutto ciò su una testata ufficiale e riconosciuta (non un blog personale o un social network) che conta una tiratura pari a circa 15.000 copie senza che sia possibile intervenire in alcun modo? Non è certo colpa del quotidiano, che ragiona in un ottica di mercato e attirando qua e là qualche indignato assicura alla testata una visita in più. Forse la colpa è del fatto che casi come questo passano in sordina con la scusa che “tanto si sa, cosa ti aspettavi?”, “ormai non si indigna più nessuno, tutto sommato queste stupidità sono anche divertenti”, “il moralismo è una forma di censura, così si fa il loro gioco e a cadere nel torto siamo noi”, “tanto lo leggono in pochi”, come si legge dai commenti sul web agli articoli suddetti. E così passa in sordina, ma intanto passa.
Nota: tutti gli articoli a cui si fa riferimento possono essere letti sul sito de Il Foglio o su Libero per quanto riguarda l’articolo “Togliete i libri alle donne”
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Un pensiero su “L’evoluzionismo non esiste, vietati i libri alle donne, Astrosamantha doveva trovarsi un uomo. Quando il giornalismo è cattivo.”