Il 30 dicembre 2014 la Scott Trust Limited, una holding editoriale inglese, pubblicò un annuncio un cui si cercava, come se fosse il lavoro più comune del mondo, un nuovo direttore per uno dei giornali da essa controllati.
Suonava proprio come uno di quegli annunci in cui una famiglia cerca una baby sitter. Solo che al posto della baby sitter, c’era scritto che il lavoro offerto era quello di direttore di uno dei più importanti quotidiani al mondo: il Guardian.
Venti giorni prima di questo annuncio, Alan Rusbridger si era dimesso dalla direzione del giornale per passare alla direzione proprio della Scott Trust Ltd. Il nuovo direttore, si diceva, doveva avere certe caratteristiche, oltre che presentare un progetto editoriale di mille parole (pochissime) coerente con la storia del giornale ma anche innovativo riguardo a tutte le sfide che i giornali tradizionali, specie nel paese che se li è inventati, sono chiamati ad affrontare, tipo il blogging e l’uso di internet, quindi come usare i social network o come generare introiti significativi dall’edizione online.
Sono passati tre mesi, più o meno, e quel direttore è venuto fuori. Si chiama Katharine Viner, ha 44 anni, e sarà la prima donna a ricoprire l’incarico nella storia del giornale britannico. Oxfordiana di formazione, ha cominciato a lavorare al Guardian nel 1997. “Nel corso degli anni – scrive il Post – Viner ha ricoperto diverse cariche all’interno del giornale: fra le altre cose è stata direttrice di G2, la sezione di cultura pop del Guardian, e direttrice del magazine allegato all’edizione del weekend del giornale. Dal 2008 al 2012 è stata la direttrice del numero del sabato del Guardian. L’anno successivo ha diretto l’edizione australiana, mentre dall’estate del 2014 dirigeva l’edizione statunitense (che nel febbraio del 2015 ha aumentato del 30 per cento il traffico sul proprio sito rispetto allo stesso mese dell’anno precedente).”
Un curriculum giornalistico di tutto rispetto, e va bene. Ma cosa c’è di davvero interessante in questa storia?
Due cose.
La prima è il modo con cui questo direttore (direttrice) è stato scelto. Va bene l’annuncio eccetera, ma il processo con cui hanno selezionato la Viner rispetto ad altri candidati è un vero laboratorio di democrazia. In un posto come la redazione di un giornale, tra l’altro, che nella democrazia ha la sua bandiera nonchè la fanciulla da salvare dal mostro cattivo.
È cominciata così: in tutto si si sono presentati ventisei candidati. La Scott Trust Ltd., cioè la proprietà (che è una organizzazione no profit), ha ridotto la lista dei candidati a quattro persone: la Viner e altre tre: due donne e un uomo, tra cui Janine Gibson, una con buona dose di responsabilità nel premio Pulitzer vinto dal Guardian nel 2014 per la vicenda del dataleaks dell’NSA e di Snowden. (Laura Poitras, per la cronaca, oltre il Pulitzer ha vinto anche l’Oscar, quest’anno, per il documentario fatto con le riprese servite per l’inchiesta.)
Successivamente ai quasi mille giornalisti del Guardian era stato richiesto di esprimere una preferenza per uno dei quattro candidati. Si doveva mandare una mail. Era una pura consultazione, non sarebbe stato in alcun modo vincolante. Ma si chiedeva ai subordinati di esprimere quale dei quattro avrebbero preferito per boss.
La Viner ha vinto la consultazione informale ottenendo più della metà delle preferenze. Parecchie, se si considera che l’altra metà va divisa per gli altri tre candidati.
Seconda cosa. Il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, cambierà a breve. È stato annunciato l’estate scorsa, e fino ad ora, oltre a qualche nome più utile ai bookmakers che al giornalismo, se ne sa pochissimo.
Si sa questo, che non potrà essere, almeno per buon gusto, Paolo Mieli, che sul trono di via Solferino c’è già stato due volte. Dal 1992 ad oggi infatti a succedersi furono solo Mieli e De Bortoli, via uno e dentro l’altro, con una breve parentesi semestrale di Stefano Folli. Altro che Guardian. Niente da dire sulla qualità dei giornalisti, beninteso, ma è chiaro che il processo del Guardian sta proprio da un’altra parte. Anche oggi. Il nome non esce perchè non c’è. Gli azionisti di RCS litigano tra loro, ognuno vorrebbe il suo e non si arriva da nessuna parte.
Piergaetano Marchetti, classe 1939, presidente della Fondazione Corriere della Sera e consigliere della società editrice del quotidiano, ha detto che il CdA di Rizzoli-Corriere della Sera sceglierà un candidato da una rosa di nomi. Una specie di conclave. Ogni gruppo butta sul tavolo un nome, si fanno accordi e trattative, e uno vince.
Si potrebbero dire tante cose, una di queste è che guardare a quello che fanno fuori, sempre e comunque, è facile retorica; che quelli del Guardian hanno chiesto ai giornalisti ma tanto poi hanno deciso loro comunque; che il Guardian è un giornale con quattro edizioni nel mondo e il Corriere un giornale di un Paese ormai mediocre sotto tanti punti di vista, eccetera.
Qualsiasi cosa si dica, rimane il fatto che anche il Corriere manifesta una profonda incapacità di gestire un nuovo modo di fare giornalismo, come tutti i giornali tradizionali di questo paese. E nominare politicamente l’ennesimo fantozziano Megadirettore Galattico Duca Conte Balabam è la solita, meravigliosa, gattopardata per cambiare tutto senza che cambi niente.
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