Dopo quasi dieci anni, in data 14 Gennaio 2015, Giorgio Napolitano ha abdicato dalla carica di Presidente della Repubblica. L’ex-PCI, ora in pensione, è diventato ufficialmente detentore di un record ai limiti della prassi costituzionale.
Lo stesso giorno, una coincidenza invidiabile, la trasmissione Le invasioni barbariche di La7 ha avuto la fortuna di poter ospitare in studio Matteo Renzi. I barbari, per i greci, erano semplicemente quei popoli che il greco non lo parlavano e Renzi, rispetto a molti suoi connazionali, un po’ barbaro lo è.
Non è una novità che il Presidente del Consiglio parli in pubblico, anzi Matteo ci ha abituato molto bene, così bene che ho il terrore di spegnere la tv e sentirlo ancora parlare, di girarmi alla mia destra e vederlo sul divano a raccontare della sua passione per la corsa, di alzare lo sguardo e poterlo osservare su un pulpito vicino alla finestra della cucina a spiegare ai miei genitori, statali, perché il Jobs Act migliorerà la loro esperienza lavorativa. Non so voi, ma io a volte mi sento stufo. Mi viene in mente quell’amico che continua a darmi ragione ma in realtà non aspetta altro che stia zitto un solo attimo per continuare a ripetermi la sua versione.
Il fatto è che il buon, come ci tiene a specificare, Matteo è proprio bravo a parlare ed è questa forse la sua migliore dote politica. Io personalmente penso che sia un buon servitore dello Stato, le cui idee sono in antitesi con le mie, ma che non sia il migliore, visto che sono altre le caratteristiche che cerco in un politico.
Volendo fare un esempio calcistico, e quale migliore occasione in tempi di Pallone d’oro, mi piacerebbe paragonare lui a Cristiano Ronaldo, fresco vincitore, e il mio politico ideale a Messi. Sicuramente CR7 è un giocatore più completo, ma Lionel Messi spicca per il suo estro, la bravura nel dribbling e per il delicato tocco di palla, qualità che lo rendono l’unico giocatore considerato degno di stare al fianco di Pelè e Maradona nell’Olimpo dei tiratori di calcio alla palla. Tutto ciò non ha impedito a Ronaldo di scavalcare il suo collega come miglior calciatore dell’anno per ben tre volte, considerato anche il suo maggior appeal su donne, pubblicitari e mondo del gossip.
In virtù di ciò non ho paura di affermare che Renzi sia uno dei migliori e anzi ho il coraggio di dire che è l’unico ad essere stato capace, grazie alla sua capacità oratoria, di porsi come credibile alternativa a Berlusconi, dominatore di un ventennio italiano.
Quello che mi colpisce sempre in Renzi è una certa circolarità dei suoi discorsi, che girano intorno sempre agli stessi espedienti retorici, e lo stesso è successo ieri sera, di fronte ad una Daria Bignardi davvero poco disposta a lasciare al suo interlocutore il pallino della discussione.
Seguono alcune mie osservazioni sull’intervista di ieri prima delle quali ci tengono a specificare di non essere un esperto di public talk e di non sapere nemmeno quale sia la parola che ne descrive uno.
Per prima cosa a Renzi è stato chiesto di commentare le dimissioni di Napolitano e lui subito ha applicato una delle sue strategie vincenti, ossia di quella di non entrare nel merito del discorso e fare quindi ricorso ad un episodio, sicuramente evocativo, quale il ricordo dei giorni della festa per i 150 anni dell’unita d’Italia, ma poco incisivo dal punto di vista del contenuto.
Subito dopo la Bignardi chiede se non sia un paradosso che il rottamatore elogi un uomo che non solo è in età di rottamazione ma ha anche dimostrato una certa recalcitranza a lasciare il suo scranno, essendo il primo italiano ad essere rieletto come Capo dello Stato. Renzi si accorge che la domanda è spigolosa e mette in moto una tattica tra le più efficaci: crearsi un avversario, caratterizzarlo in maniera appena sufficiente, in modo che ognuno possa riconoscerci chi desidera, e abbatterlo. E così i politici da rottamare non sono quelli vecchi e ostinati ma quelli ostili alle riforme, che devono essere fatte a tutti i costi per il bene dell’Italia – quale sia questo bene e perché le riforme contribuiscano a realizzarlo ovviamente adesso non conta.
E siccome Renzi è davvero bravo ne fa un’altra delle sue, parlando di Napolitano prova a inserire un episodio commovente, una donna della Marina che partorisce sulla nave, però la Bignardi fiuta il pericolo e lo interrompe. Non è ancora finita, Matteo butta lì un altro grande classico, la metafora calcistica, dice che il successore di Napolitano dovrà essere un arbitro e non un giocatore, ma il meglio in questo senso arriverà più tardi.
Altri due stratagemmi molto efficaci giungono immediatamente: Renzi si rivolge al pubblico, cerca la loro complicità contro la cattiveria dell’intervistatrice(un altro nemico?) e si scaglia contro Salvini che, in Parlamento Europeo, ha osato dare contro a Dante, patrimonio nazionale, quando invece l’altro Matteo non ha attaccato il poeta, ma ha solo cercato di smascherare l’ennesimo tentativo retorico del Presidente del Consiglio.
La conduttrice chiede un parere sulla sanguinosa vicenda di Charlie Hebdo e mostra un video del padre di Giuliano, il cui figlio italiano e musulmano è morto mentre combatteva sotto l’egida dell’ISIS. Quando si parla ad una platea che non è solo la propria è bene non prendere posizione e, come dicevo in precedenza, non entrare mai nel merito, Renzi in questo caso lo fa e senza esitare condanna uno dei quattro foreign fighters italiani. Questa scelta sembrerebbe denotare una grande risolutezza, eccome se lo fa, in realtà Renzi sa di essere in una posizione condivisa in orizzontale dall’opinione pubblica(come potrebbe non esserlo?) e non corre alcun rischio a fare un’affermazione così forte.
Seguono altri clichè, l’orgoglio di essere italiano e l’essere un uomo come tutti gli altri, che ha tolto gli occhiali per migliorare la sua immagine ma che pensa di ricominciare ad indossarli per comodità. Niente di particolare.
Prima di concludere Renzi sfodera le sue armi più potenti: il calcio e il coraggio più forte della paura.
Lo dice chiaro è tondo: l’Italia è un paese di calciofili e lui è un mediano, sa dare le botte quando serve ma accetta di prenderle. Avrebbe potuto dire che la palla è rotonda e che è rigore quando l’arbitro fischia, non avrebbe fatto alcuna differenza.
Qui Renzi vorrebbe ripartire con il suo ennesimo racconto catartico, ma la Bignardi è una vera guastafeste e lo blocca per dare spazio all’intervista di Radio Shock. È solo una tregua prima della tempesta.
La fine dell’intervista è quanto di più renziano possa esistere. L’Italia può superare la crisi, deve solo sconfiggere la paura di andare avanti, destinata a soccombere se sapremo avanzare temerari, forti della nostra più brillante grandezza, il coraggio.
Ora vi prego, rileggete le prima metà di questo articolo. E io, sono riuscito a convincervi?
Un pensiero su “Il discorso del re”