Nonostante siamo appena nove passi dentro il 2015 i fatti di questi ultimi due giorni a Parigi e dintorni sembrano essere, giornalisticamente, già la notizia dell’anno. Pare sia finito tutto; bene che sia finito, ma la vicenda si è conclusa nel peggiore degli scenari possibili, con un molti morti.
Avendo una claustrofobica malattia per le notizie, ho passato molto tempo a cercare di capire qualcosa di quello che stava succedendo in Francia. La riflessione contenuta in questo post nasce soprattutto dal fatto che fuori da casa, grazie all’iPhone, avevo comunque accesso a notizie immediate, appena scritte, appena conosciute dai giornalisti stessi.
La domanda di informazione è stata (e lo sarà ancora per un bel po’) enorme. Non mi sento di dire sproporzionata, perchè in proporzione a quel che è successo, la richiesta è una necessità giustificata.
Le redazioni di tutto il mondo sono state in fibrillazione; ogni minuto c’era una notizia, ogni dieci ce n’era una nuova, informativa, che aggiungeva qualcosa al quadro di ciò che prima non si sapeva.
(Scrivo questo al passato, ma la situazione non ha subito cambiamenti significativi. Ci sono ancora diverse cose da chiarire)
La copertura giornalistica di questa vicenda ha evidenziato un centro nevralgico assoluto: Twitter. Su Twitter ho letto notizie che i giornali online (anche i liveblog) hanno pubblicato anche dopo decine di minuti. In ogni caso, tutte le notizie (con notizie intendo breaking news) sono state scritte sempre prima su Twitter. Consideriamo le notizie date con ritardo. Si parla di dieci minuti. Il tempo di attesa di un autobus un po’ lento. Il tempo in cui cuociono i fusilli. Poco tempo. Eppure dieci minuti, in una fame di notizie come quella che ci sta divorando adesso, sembrano (e sono) un’infinità. Con le vecchie categorie dell’informazione, una notizia pubblicata dieci minuti dopo l’accadimento del fatto oggetto della notizia stessa, sarebbe stato un enorme risultato. Oggi è vittima di un ritardo pressante, ed è, sempre giornalisticamente, una sconfitta.
Twitter risponde all’esigenza dell’immediatezza di cui il giornalismo oggi ha bisogno, sia per quanto riguarda gli informatori che gli informati. I giornalisti vogliono dire quel che sanno, quello che scoprono; le persone vogliono leggere per sapere cosa diavolo sta succedendo.
È una fame che prende tutti: i lettori siedono ad un tavolo apparecchiato assai male, in cui si mangia pochissimo ma di continuo; i giornalisti sono i camerieri che servono il cibo, che devono stare attenti ai tempi i cui i cuochi producono altre notizie e allo stesso tempo che hanno necessità di mangiare anche loro. Va da sé che ne vien fuori un bel casino.
Prima era tutto ordinato, si mangiava il giusto abbondante, tutto cucinato bene e controllato, segnato però da un ritardo irrimediabile rispetto alle notizie. Due volte al giorno con i giornali. Poi le televisioni. Cambia tutto con internet e con i canali all news di 24h.
Ho aperto Twitter dieci o quindici volte l’ora, nelle ultime dieci.
C’è una cosa importante che mi sembra di aver capito. L’immediatezza è la vita di una fonte di informazioni. Prima scrivi, prima i giornali ti citano.
Oggi sono uscite molte notizie che poi si sono rivelate false. Non c’è tempo di controllare in vista della stampa della notte. È un mestiere del tutto differente dal giornalismo classico; è il giornalismo che è nato in questo secolo e che prima non si immaginava nemmeno, neanche nella più lontana delle fantasie.
Un po’ di esempi di oggi.
AFP (agence france presse) aveva scritto nel primo pomeriggio che due persone erano morte nella sparatoria e nel sequestro di Coulibaly alla Porte de Vinciennes. Due ore dopo il ministero ha smentito la morte di quelle due persone. AFP non ha smentito la sua notizia precedente. Paradossalmente: una persona che seguisse su Twitter unicamente AFP ora sarebbe convinto che nella sparatoria due persone siano morte.
Fino ad arrivare alle notizie sulla morte degli ostaggi. Si è scritto che le persone sequestrate erano inizialmente cinque. Poi si è scritto di un bambino piccolo. Poi sono diventate sei di cui un bambino molto piccolo. L’ambasciatore francese negli USA ha scritto alle 17.52 che gli ostaggi erano vivi. Appena dopo le sei gli ostaggi erano morti, e non si sapeva quanti. SkyTG24 alle 19, ha detto che a quanto risulta loro gli ostaggi erano forse di più dei 5 confermati. Ansa scrive di 4 morti e 20 feriti. E proprio sui numeri, come dalle foto, è emblematica la confusione.
In generale ha dominato una confusione che nella mia esperienza di lettore è stata senza precedenti. La maggior parte delle notizie non hanno ricevuto conferma né smentita dalla Polizia francese né dal ministero dell’Interno. Le notizie erano ondate continue in cui un lettore era obbligato ad affogare. Ho letto decine e decine di notizie in cui veniva riportato un evento senza conferma che stesse davvero avvenendo. Spesso le fonti erano esplicite, ma uniche, e venivano riportante in formule tipo: “L’agenzia X dice che… ma non ci sono altre conferme”. Le forme verbali dominanti erano condizionali. “Sembrebbe che…”, eccetera.
Ora, due considerazioni.
Uno. Non può (e non potrà) essere altrimenti. Per ogni notizia che aspetta una conferma, c’è una notizia data da un’altra fonte che non ha la stessa pazienza. E Twitter, su questo, è impietoso. Qualcuno che da la notizia c’è sicuramente. Penso che il giornalismo non abbia ancora le misure per questa immediatezza, e per quanto mi sforzi di vedere lontano, non so se sarà possibile in futuro controbilanciare l’imprecisione che necessariamente tutto questo implica. Una cosa bella e impensabile, cioè che un social network (la cui utilità è spesso messa in discussione) abbia canalizzato l’informazione diretta, le breaking news, fa da contraltare al fatto che proprio per questo l’accuratezza (e la verità di uno stato di cose) ne abbia patito le conseguenze.
Due. Il fatto che Twitter sia strumento dell’informazione professionale non lo esclude dall’essere allo stesso tempo strumento dell’informazione “amatoriale”, delle persone testimoni di un fatto. Le foto delle persone ai poliziotti per le strade, o della stazione di Tolosa sgomberata, sono foto che ritraggono uno stato di cose reale. Si vedono persone che vengono evacuate da un posto pubblico, ne segue che c’è un pericolo. Stessa cosa con l’allarme bomba del Trocadero. Una fonte di informazione esce con la notizia, essendo, appunto, una notizia. Ma la gente evidentemente non si accontenta del fatto in sè. Vuole il perchè. Ma il perchè non lo sa nessuno, a parte la Polizia e l’Interno, che però non danno notizie. Meglio, le danno con i loro tempi, con ragione.
Questo è un caso, se lo moltiplicate per tutto quello che è successo, è normale come l’Interno non abbia possibilità di stare dietro a questa massa enorme di notizie da confermare a cui dare risposte.
Quindi: sappiamo cosa succede perchè ci è documentato direttamente con tweet, foto e video, ma non sappiamo le ragioni di quel che stiamo vedendo. E questo ci confonde moltissimo.
I grandi eventi sono ormai caratterizzati da questo. Nel mentre dei fatti una marea di notizie fulminanti: notizie vere, notizie date, non confermate, che si riveleranno vere e notizie date che si riveleranno false. Poi ci sarà tutto un lavoro a posteriori. Un filtrare, quando le cose si saranno messe di nuovo tranquille, tutte le verità dalle mezze verità dalle falsità.
Questo è il momento dell’iper-realtà, come Jean Baudrillard aveva scritto anni fa. Noi ci siamo immersi, con la promessa, si spera, di tornare presto
alla realtà, fatta di cose che sono successe e di altre che semplicemente non lo sono.
SrM
2 pensieri su “I fatti di Parigi, Twitter e come si danno le notizie oggi”